
C’era una volta il matrimonio in Sardegna
Su fastiggiu
Durante il corteggiamento: su fastiggiu, (amore segreto) i sentimenti di simpatia e affetto verso la donna del cuore venivano manifestati in vari modi; come ad esempio con gesti e occhiate affettuose quando i due giovani si incontravano la domenica mattina all’uscita di chiesa o quando si incontravano nelle fontane in cui si recavano per la provvista dell’acqua potabile oppure, frequenti erano le musicas romantiche serenate che il giovane dedicava alla sua amata.
Ma, non più soddisfatto dei fugaci incontri con la propria ragazza, l’innamorato decideva di chiederne la mano alla sua famiglia. L’innamorato mandava per la richiesta di matrimonio, su paralimpu , persona di fiducia, scelta tra quelle più sagge; poteva capitare che il paralimpu fosse anche il parroco del paese.
Il messaggero si recava a casa della famiglia della ragazza e, come tradizione voleva, veniva accolto in cucina e fatto accomodare in una sedia sgangherata detta su scann’ e su paralimpu . Se l’uomo, o la donna che fosse, nel conversare con la famiglia si fosse agitato troppo e quindi caduto dalla sedia, tale gesto sarebbe stato cattivo presagio di nozze.
L’ambasciatore non entrava mai subito in argomento con i genitori della ragazza, ma cercava di velare con una storiella, il vero scopo della sua visita ed esplorava il terreno prima di aprirsi per evitare un reciso rifiuto.
Sa intrada
Quando dunque, nessuna difficoltà si opponeva al matrimonio proposto dal paralimpu, i genitori della ragazza lo invitano a tornare assieme al giovane pretendente: Avveniva così sa intrada.
A questa, seguiva l’assicuronzu, ossia l’assicurazione del matrimonio ( in tale circostanza si stabiliva la dote della sposa e veniva fissata la data delle nozze) in cui si faceva una festa vera e propria con tutti i parenti dei fidanzati.
L’uomo in questa occasione regalava alla propria amata un anello, una spilla spille.
Nei doni legati ai rituali di fidanzamento erano spesso presenti l’elemento decorativo della chiave.
La chiave simboleggia la delega alla donna come padrona del proprio cuore e della casa. La stessa valenza della chiave ha la forbice.
Un fatto singolare accadeva in qualche centro dell’isola, dove, dopo l’assicuronzu, vi era la possibilità per i due fidanzati di poter convivere e di sentirsi liberi di consumare il matrimonio nonostante questo non fosse ancora stato celebrato.
Non ho trovato parole migliori di quelle del Poggi per giustificare il motivo di tale concessione:
“In fatto di matrimoni, nell’isola non si scherza; la fede giurata è sacra, inviolabile; avere poi impegnata la parola, dopo aver goduto gli effetti abbastanza positivi dell’assicuronzu, è lo stesso di avere impegnata la pelle!”
In prossimità delle nozze e, a volte anche il giorno stesso, sarebbe poi intervenuto il parroco con qualche piccola penitenza a rendere di nuovo “puri” gli sposi. Ma, nella stragrande maggioranza dei paesi all’innamorato era concesso vedere la ragazza, solo in determinati giorni della settimana e in occasione della messa, vale la pena ricordare la missa de puddu, che era quella riservata agli innamorati e alle donne gravide.
Un’altra curiosa usanza del fidanzamento sardo è il tipico rito della fidanzata nascosta. La sua migliore espressione la troviamo nella pricunta gallurese. La pricunta è in sostanza un dialogo nel quale la richiesta di matrimonio è simboleggiata dalla richiesta di una bianca agnella smarrita che il pretendente ritrova alla fine tra le ragazze che gli sono mostrate.
Su portu de sa roba
Circa una settimana prima del matrimonio, una buona occasione per riunirsi e divertirsi era rappresentata da trasporto del corredo da sposa ( su portu de sa roba).
Il corredo veniva portato quasi in trionfo alla nuova casa dallo sposo in compagnia di parenti e amici. Un corteo di carri il cui numero poteva arrivare fino a sette, otto e veniva trainato da buoi adornati con fiori, aranci, limoni, rami d’edera, campanelli.
I carri trasportavano gli oggetti più pesanti come la cassapanca, il letto, ecc. non potevano mancare gli strumenti utili per la panificazione la tavola (sa mesa) la sxivedda e la filatura: il telaio, la rocca, il fuso; Mentre, le cose più fragili e delicate, venivano portate a mano su dei cestini.
Alla fanciulla più bella spettava il compito di trasportare la tradizionale brocca, la cosiddetta brocca della sposa, con la quale il giorno delle nozze ella doveva attingere l’acqua per la prima volta , non appena giunta alla casa del marito. Il tutto era allietato dal suono delle launeddas o delle fisarmoniche.
Chiudeva la carovana il molente , anch’egli agghindato a festa, che era destinato a girare il mulino domestico della coppia.
Una volta arrivati a casa degli sposi, era usanza che il futuro sposo portasse il materasso del letto matrimoniale. Nel frattempo, gli amici avevano il compito di rendergli difficile l’ingresso alla casa e finivano spesso per fare una simbolica lotta a dimostrazione del grande peso che il giovane, ammogliandosi, doveva sobbarcarsi.
Spesso anche il letto nuziale stesso era vittima di scherzi dove, tra le lenzuola, era consuetudine mettere del grano e dello zucchero.
Altre volte la camera da letto veniva chiusa a chiave e l’accesso veniva consentito solo dopo lunghe insistenze.
Preparativi
La preparazione del banchetto avveniva tre quatto giorni prima della nozze nella cucina della casa della sposa e vedeva impegnati tutti gli amici e i parenti più operosi.
Molta cura veniva dedicata alla preparazione del pane: su pai de còia che richiedeva una lunga e sapiente lavorazione che avveniva con le migliori farine, esclusivamente di grano. Questi pani riccamente decorati racchiudevano in sé soprattutto un alto valore simbolico oltre che ornamentale.
L’occasione era anche il pretesto per fare un po’ di baldoria dove si cantavano canzoni di buon augurio alla sposa che spesso venivano accompagnate dalle fisarmoniche o dalle launeddas.
Sa di e sa coja
Lo sposo, sottobraccio al padre e col seguito di parenti e amici, andava a prendere la sposa. Dopo formule di benedizione e auguri di prosperità, felicità e ogni bene , dà lì ci si muoveva in un corteo solenne verso la chiesa.
All’uscita dalla chiesa si usava benedire gli sposi con s’arrazza, o s’arazia che consisteva nello spargere sugli sposi, formando per tre volte il segno della croce, grano, sale, petali di rosa ( il grano significa abbondanza, il sale sapienza e i fiori, salute) contenuti in un piatto che poi doveva essere ridotto in mille cocci.
Compiuta la solenne cerimonia, il corteo insieme col sacerdote che celebrò la messa, fa ritorno alla casa della sposa, nel campidano invece si andava direttamente a casa degli sposi. Lungo la strada è una vera festa e gli sposi vengono salutati con manciate di grano e si continuavano a infrangere i piatti.
Sa festa
Una volta giunti a casa poteva avere inizio la festa di nozze. Il banchetto poteva durare anche due o tre giorni e le pietanze erano sempre legate alle condizioni economiche di chi lo organizzava , alla stagione in cui questo si svolgeva e alle abitudini proprie della specifica zona.
Tra le tante curiosità appartenute alla nostra tradizione, vi era quella di far mangiare gli sposi nel medesimo piatto e farli bere nello stesso bicchiere per incominciare così la loro unione sotto i migliori auspici. Solitamente servito alla fine del pranzo, era su prattu e brulla (piatto per scherzo) dove comparivano delle corna, erbe spinose, sassi, ossi.
Nel Campidano il pranzo di nozze tipico prevedeva una prima portata di brodo di gallina ripiena, pudda a prenu, e malloreddusu, i classici gnocchetti. Le carni venivano servite come secondi e gli agnelli, maialetti e pollo venivano presentati arrosto o bolliti o fatti a polpette.
Il dolce nuziale era rappresentato dai gattou le cui elaborazioni e i cui decori si trasformavano in veri capolavori di arte effimera, analogamente al pane. A questi seguivano altri dolci tipici come quelli a base di saba, o i pistoccus de cappa, ancora, i ciambelleddas, i bianchinus ecc.
A Cagliari, invece, le famiglie più facoltose servivano la carne di puledro i cui resti venivano lasciati ai poveri. Ancora, nel Lugudoro troviamo i sos ciccciones o ciccioneddos, gnocchi locali fatti con semola di grano duro e conditi col ghidasu, un sugo che si preparava cuocendo le ossa leggermente spolpate degli agnelli e delle pecore. Anche qui troviamo gli arrosti mentre, il dolce principe era sa timballa, una sorta di budino.
Il resto della giornata scorreva in esultanza per giovani e anziani, tra il canto dei muttetus per gli sposi, le melodie festose delle launeddas e i balli nelle forme de su ballu tundu, de su dillu, de su ballu torrau. Immancabile l’intonazione di “e gi dd’as fatta bella a ti coiai”.
Su presenti
Gli sposi ricevevano prevalentemente doni in natura e oggetti utili alla vita di tutti i giorni. Frequentemente si vedevano consegnare in dono degli animali in vita: agnelli, pecore, galline, maialetti, ma anche il grano, la pasta, oppure del pane magari proprio quello che sarebbe stato consumato durante le nozze, in particolare su coccoi pintau, e più semplicemente zucchero, uova, caffè, frutta.
Alcuni mesi prima della data fissata per le nozze, era in uso distribuire a ogni invitato pezzi del corredo della sposa come lenzuola, federe, tovaglie ecc. affinché venissero ricamati.
A lavoro finito ogni pezzo veniva riconsegnato il giorno del matrimonio , magari all’interno dei cesti, anch’essi dono di nozze, abbelliti con di fiocchi.
In diversi paesi , dopo il pranzo nuziale gli sposi si recavano a casa degli invitati per fare una visita e ritirare su presenti e questo peregrinare di casa in casa veniva spesso con l’accompagnamento delle fisarmoniche e dei canti.
In altri contesti invece su presenti veniva portato direttamente dagli invitati nelle rispettive dimore dei futuri sposi.
(Il viaggio di nozze) quando gli sposi se lo potevano permettere era limitato alla visita di uno dei più celebrati santuari isolani.
Bibliogafia
AA.VV., Edes, 2006
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